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									Se ogni essere umano è caratterizzato in 
									modo inequivocabile da un DNA che lo rende 
									unico ed immediatamente riconoscibile, 
									l’artista da sempre manifesta questa 
									individualità sottraendosi agli imperanti 
									tentativi di omologazione ed asservimento. 
									Rifuggendo così dai recinti predeterminati, 
									dalle visioni dicotomiche e dalle 
									costrizioni strumentali dell’organizzazione, 
									l’arte da sempre si muove alla ricerca di 
									spazi autonomi dove esibire l’infinita gamma 
									dei grigi che contraddistinguono 
									l’esistenza.  Da una parte la società con le 
									sue esigenze classificatorie e funzionali, 
									dall’altra il pensiero libero che afferma 
									ogni volta il valore del diverso.
									
									
									Gerardo Di Salvatore, Lughia e Luigi 
									Ballarin assumono la propria fisicità come 
									punto di partenza per percorsi autonomi che, 
									nel confermare la diversità come regola, 
									portano alla realizzazione di opere firmate 
									con il proprio corpo.
									
									
									 
									
									
									“Cambio di pelle” 
									
									
									L’uomo è ciò di cui si nutre con la bocca, 
									con gli occhi, con le orecchie, con il naso, 
									ma anche con la testa e con il cuore. Non 
									traspare alcuna differenza, dai lavori di 
									Gerardo Di Salvatore, tra ciò che 
									quotidianamente si subisce e ciò che si ama. 
									Inevitabilmente le infinite realtà con le 
									quali entriamo in contatto ci trasformano. 
									Ed è il corpo dichiarato dello stesso 
									artista, riprodotto in formato reale su 
									grandi tele, a subire importanti 
									trasformazioni. Metamorfosi che, fatti salvi 
									i tratti del volto che firmano l’opera, 
									vedono l’epidermide ricoprirsi di piume e 
									cortecce in un tendere verso una natura 
									ritrovata, oppure di materiali sintetici e 
									componenti meccaniche in un lasciarsi andare 
									ad un mondo sempre più artefatto. 
									Prospettive talvolta di segno opposto, 
									espressioni di quei tanti bivi di fronte ai 
									quali l’umanità si interroga. Prospettive 
									messe in scena senza alcun dramma 
									dall’artista il quale, con freddo distacco, 
									interviene “sulla propria pelle” con la sola 
									coscienza dell’inevitabile incidenza.
									
									
									 
									
									
									“Tracce Antropozoiche” 
									
									
									Le diversità umane, infinitamente piccole se 
									rapportate alle dimensioni dell’universo, 
									sono oggetto dell’indagine di Lughia, 
									artista della quale sono noti gli scenari 
									desertici di sabbie e sassi, 
									rappresentazioni dell’eterno divenire. Un 
									passaggio effimero quello dell’uomo sulla 
									terra, destinato, secondo l’artista, a non 
									lasciare, al pari di un’ombra, alcuna 
									traccia. Ed è sulle ombre generate dal 
									proprio corpo che l’artista incentra la 
									propria ricerca sino a produrre, al limite 
									con l’astrazione simbolica, quelle che 
									possiamo definire “tracce antropozoiche”, 
									memorie dell’anima, le sole che hanno il 
									potere, imprimendosi nel cuore e nella mente 
									degli uomini, di sopravvivere al succedersi 
									delle generazioni. 
									
									
									 
									
									
									“Diversamente Uguali” 
									
									
									Condizionamenti ambientali e storia 
									determinano comportamenti e regole che, 
									nell’alimentare il senso di appartenenza, 
									consolidano diversità collettive, puramente 
									formali, capaci di relegare in secondo piano 
									i caratteri comuni ad ogni essere umano, i 
									soli che sanciscono la diversità vera, 
									quella individuale. Questo è quanto 
									traspare  negli ultimi lavori di Luigi 
									Ballarin, artista la cui ricerca pittorica 
									da sempre trae alimento dalla sconfinata 
									passione per il mondo arabo. Opere di grande 
									suggestione le sue, opere nelle quali, 
									insieme alla  rappresentazione di 
									architetture e di grandi folle 
									contraddistinte da quelle vesti che agli 
									occhi dei più fanno la differenza, trovano 
									spazio, su retrostanti piani sfondati, le 
									impronte corporee dell’autore stesso. Tracce 
									lasciate dalla mano o dal piede, nel 
									prendere il posto di una firma comunque 
									posticcia, fanno emergere quell’identità 
									individuale che, al di là di ogni 
									appartenenza, ci rende tutti diversamente 
									uguali.
									 
									
									
									Giuseppe Salerno