È con
soddisfazione
particolare che
scrivo una breve
analisi dei
“Canti d’amore”
di Anna Salvati,
che mi danno
soprattutto
l'occasione di
parlare di una
poesia che
s’intreccia con
la metamorfosi,
espressa non
solo con le
parole, ma che
si estende sulle
tele della
stessa autrice.
Perciò mi piace
sottolineare la
voce spiegata,
come i
menestrelli del
tempo passato,
dei canti
d’amore:
«abbraccia il
cuore
e scalda il
corpo
con la Luce
d’Infinito»
la cui presenza
fra i beni
librari e quindi
culturali di
questa raccolta
che non sviscera
lacrime
d’alambicco ma
sentimenti
limpidamente
espressi,
proprio col
trasporto dei
menestrelli del
Medio Evo, senza
escludere il
grande tra tutti
quelli del
trecento, Dante
Alighieri, che è
già presente fra
noi con questi
canti che non
sanno di
malinconia,
anzi…
«Sulla pelle
ho l’ansia di
Vita»
(…)
«Carezze mai
avute
da dimenticare»
Altrove:
«Le tue rose
mi tengono
compagnia.
Il profumo
penetra
in me
come te
quando mi ami».
Versi che hanno
la facoltà di
rafforzare un
complesso di
legami, che ha
radici lontane,
ma profonde; e
si sottolinea il
significato
dell’amore che
nutre il Poeta
insieme alle ore
quando fissa
l’immagine
colorata sulla
tela sul
cavalletto;
quando
nell’alternarsi
dei colori e
l’intrecciarsi
delle parole che
sono musica
inventata dal
pensiero
s’intreccia con
loro si ripassa
mnemonicamente,
gli studi, sui
rapporti fra
uomo e donna,
che il pensiero
rivaluta,
creando nuove
immagini, il
sentimento che
unisce lei e il
suo uomo in
abbandoni
mirabili,
costituendo,
altresì, la base
di una
documentazione
specializzata e
preziosissima
che farà di
questo
sentimento il
perno
privilegiato dei
suoi giorni.
Ecco perché mi
sento
privilegiato nel
parlare di versi
che solennizzano
un canto antico
che solo per
miracolo d’amore
si eleva ai
maggiori gradini
poetici sia per
i temi cari alla
speculazione
amorosa della
Salvati, che
sono ancora una
volta, inno
universale per
tutti gli
uomini;
sentimento
necessario alla
società in cui
viviamo che
sembra aver
dimenticato la
cosa più bella e
sacra
dell’esistenza;
l’amore,
appunto.
Avevo già avuto
modo di
sottolineare il
significato
poetico e
pittorico della
Salvati, in
altra sede;
quando la sua
poesia
“graffiante” di
denuncia
sociale,
annunciò
all’uomo la
spaccatura a cui
andava incontro
il paese
innestato
arbitrariamente
su un fatto di
coscienza; e
senza nessuna
radicalizzazione
ma con la
conferma e la
valorizzazione
della forza
poetica che
accendeva il suo
amore verso
l’umanità
intera, senza
preamboli
intermedi. Un
dilemma che
avrebbe dovuto
dissolversi in
una prospettiva
di superamento
della
controversia
personale tra
amore e società,
arte e politica
sociale.
Sono onorato
altresì per i
temi che oggi la
letteratura
discute senza
venirne a capo e
sono quelli
centrali, che le
varie scuole per
scrivere poesia
spuntano come i
funghi,
specialmente nel
web, le quali
creano un grosso
problema per i
giovani che non
sono ancora
maturi per
capire che
“Poeta si nasce”
e non c’è scuola
che possa farlo
diventare quello
che non è,
creando il caos
al punto di non
riuscire più a
distinguere la
poesia dalla non
poesia.
La Salvati,
umilmente, con
questi canti, ci
ha insegnato per
primo che
bisogna guardare
al di là delle
formule e delle
leggi per
valutare il
grado di
libertà, di
libertà
effettiva, di un
amore carnale o
universale che
sia, tanto più
utile alla
espansione del
proselitismo
religioso quanto
più sottratto ai
residui
confessionali.
Ecco il
significato
profondo cui la
Salvati ci
propone perciò
vogliamo
sfuggire ad ogni
sottinteso
strumentale o
machiavellico,
prò o contro il
cosiddetto amore
puro e amore
profano.
La causa della
libertà
nell’amore è più
importante di
tutte le formule
che “scrivitori
di versi” e
“pseudi poeti”
ci propongono
senza pensare
che la loro è
solo zavorra che
porta a fondo
anche la vera
poesia, o forse
lo sanno perciò
agiscono in
questo modo?
Reno Bromuro
Roma 16 novembre
2005 |